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Barre des Ecrin e Dome de Neige: in vacanza sui 4000!

È la mattina del 14 agosto, io e Nando siamo già da qualche giorno in campeggio nel cuore delle “Hautes-Alpes” presso il Camping d’Ailefroide, all’interno del “Parc National des Écrins”.

Osservo dubbiosa tutto il nostro materiale da montagna sparso nel prato di fianco alla tenda. Nando, con precisione scientifica, sta verificando corde, cordini, moschettoni, friends e quant’altro, mentre io, lo ammetto, non sono per niente convinta.

Stiamo preparando tutto il necessario per affrontare la salita dei due 4000 più occidentali e meridionali delle Alpi: il Barre des Ecrin (4101 mt) e il Dome de Neige (4015 mt) che si trovano proprio al culmine della valle in cui ci troviamo.

“Ma chi me lo fa fare?” penso. È la nostra unica settimana di vacanza di tutta l’estate e, sinceramente, ce la stiamo godendo alla grande tra arrampicate in falesia, relax in campeggio, birrette, baguette e grandi dormite.

Nando in azione su una divertente parete di arrampicata della zona.

Nando in azione su una divertente parete di arrampicata della zona.

Perché mai interrompere tutto questo per affrontare due giorni di fatica e freddo in alta quota?

Tengo i miei dubbi per me e procedo con la preparazione dello zaino cercando di mostrare entusiasmo, sicura che comunque, una volta avviata sul sentiero, tutte le perplessità svaniranno.

A mezzogiorno in punto, come da programma, siamo in località Prè de Madame Carle (1874 m) con gli zaini in spalla pronti ad incamminarci verso la meta del primo giorno: il Refuge des Ecrins, posto a quota 3170 m nel mezzo del “Glace Blanc”.

La prima parte della salita è piuttosto affollata ma la giornata è splendida e l’ambiente regala fin da subito scorci meravigliosi. Nonostante gli zaini decisamente pesanti, il passo è buono e in poco più di quattro ore raggiungiamo la nostra meta.

La splendida piana glaciale in partenza

La splendida piana glaciale da cui si parte

Nando sulla salita verso il Refuge des Ecrin.

Nando sulla salita verso il Refuge des Ecrin.

Sulla morena laterale prima del rifugio,  il glace blanche sotto di noi

Sulla morena laterale prima del rifugio, il glace blanche sotto di noi

Dal rifugio la vista sul Barre des Ecrin e il Dome de Neige lascia senza fiato: la parete che conduce alle due vette si staglia imponente dritta davanti a noi e sembra essere quasi vicina, tanto che si può scorgere abbastanza chiaramente la traccia di salita che porta alle cime.

Come avevo previsto, le perplessità manifestatesi durante la preparazione del materiale sono man mano svanite nel corso del pomeriggio: dalla terrazza del rifugio osservo l’ambiente intorno a me e sono definitivamente contenta di essere dove sono.

La vista delle due vette dal Rifugio

La vista delle due vette dal Rifugio

Prima di cena ci pensa però il rifugista ad interrompere il mio personale idillio con la montagna spiegando che le condizioni della salita ai due 4000 non sono buone. Esordisce con un teatrale “la montagne ç’est glacée” (“la montagna è ghiacciata”) che ci fa drizzare le orecchie e prosegue con dieci minuti di alpinistico terrorismo psicologico segnalando ponti di neve e seracchi prossimi al crollo, ghiaccio ovunque e, insomma, grosse difficoltà lungo tutta la salita.

Bene. A questo punto dentro di me la questione si ripropone: “ma chi ce l’ha fatto fare?” “ma non potevamo starcene giù pacifici con le nostre birrette?”

Nando, da parte sua sembra assolutamente tranquillo, si mangia 4 o 5 piatti di minestra e non manifesta alcuna esitazione.

“tutto bene?” “convinta?” mi chiede.

“’insomma” rispondo.

Il rifugista è stato abbastanza chiaro: la montagna non sembra essere esattamente in condizione.

In realtà, non conoscendo il francese, abbiamo capito sì e no una parola su cinque di quello che ha detto, ma sarà  perché ha il tipico aspetto dell’uomo di montagna, alto, magro, con il viso scottato e segnato da giornate passate in quota a effettuare chissà quali incredibili avventure, che mi sento in dovere di dargli retta.

Nando percepisce i miei timori e mi fa coraggio. “Siamo qua, andiamo a vedere come è, se non si può fare torniamo indietro”. Mi pare ragionevole. Attorno a noi ci sono diverse guide del posto con i rispettivi clienti, e anche questo mi tranquillizza un po’. Per cui d’accordo, si va, poi valuteremo strada facendo.

Sono da poco passate le nove e sono già a letto con i miei preziosi tappi nelle orecchie cercando di prendere sonno. Fortunatamente i nostri compagni di camerata lasciano la finestra spalancata così, con la fresca aria del ghiacciaio che entra in stanza, prendo sonno piuttosto rapidamente.

Sorge la luna prima di andare a dormire

Sorge la luna prima di andare a dormire

La sveglia suona puntuale alle 2.30: sistemiamo le nostre cose e dopo una veloce colazione a base di tè e pane e marmellata siamo pronti.

Accendiamo le frontali anche se un’incredibile luna illumina quasi a giorno il ghiacciaio creando uno scenario meraviglioso.

Procediamo senza esitazioni preceduti da 5, 6 altre cordate e in meno di un’ora giungiamo alla base della parete. Alzo la testa: sopra di me quasi mille metri di bianco pendio da risalire che illuminano la notte.

Non ho neanche il tempo di realizzare il da farsi che Nando sta già affrontando la salita “armato” delle sue due preziose picche da ghiaccio. Lo seguo. Sono un po’ tesa, temo di trovare molto ghiaccio, così infilo i ramponi nella neve con forza ma, con piacevole sorpresa, mi accorgo subito che le condizioni non sono poi così male. Mi rilasso un pochino e proseguo con relativa tranquillità. Se è vero che le condizioni della neve non sono male, c’è da dire che la pendenza della salita non dà tregua e la fatica si fa sentire.

Le prime luci dell'alba

Le prime luci dell’alba

Accompagnati dalle prime luci dell’alba, in poco meno di tre ore, arriviamo in prossimità del colle da dove parte la cresta rocciosa che conduce alla vetta del Barre des Ecrin: per raggiungerlo c’è da superare un ultimo pendio di circa 50 metri a 45 gradi. Nando sale perfettamente a suo agio mentre io soffro il classico male ai polpacci che viene salendo con i ramponi queste pendenze. Con l’aiuto di qualche imprecazione, supero anche questa fase e, finalmente, eccoci pronti a mettere mani e piedi sulla roccia.

Un alpinista in azione sull'ultimo pendio prima della cresta.

Un alpinista in azione sull’ultimo pendio prima della cresta.

Insieme a noi sono rimaste solo due altre cordate più un ragazzo che sta affrontando la salita da solo. Quindi di fatto, compresi noi due, siamo solo in 7.

Vista della cresta che conduce alla vetta del Barre des Ecrin

Vista della cresta che conduce alla vetta del Barre des Ecrin

Per montare sulla cresta è necessario effettuare un tiro di corda con i ramponi ai piedi: ho le mani gelate e non ho sensibilità sulla roccia, Nando dall’alto mi fa sicura e mi aiuta indicandomi la via migliore, qualche passo in verticale con la faccia contro la parete e improvvisamente sono fuori, sulla cresta a fil di cielo con la Croce di vetta che mi attende qualche centinaio di metro più in là.

Sulla cresta del Barre des Ecrin

Sulla cresta del Barre des Ecrin

Le condizioni della roccia qui sono perfette, è asciutta e pulita. Togliamo i ramponi e proseguiamo, Nando davanti e io dietro. La vetta pare vicina, ma mi sembra di metterci un’eternità per raggiungerla. Arriviamo alla Croce per ultimi, gli altri nostri compagni di avventura ci hanno anticipato di qualche minuto e ci accolgono con ampi sorrisi e il classico “bravò bravò” alla francese. Sono contenta, abbraccio Nando e mi guardo attorno cercando di fare mente locale su dove sono, cosa ho fatto e cosa mi aspetta ancora. Realizzo rapidamente che non è il momento di abbassare la tensione, anzi, la giornata è ancora lunga.

Autoscatto di vetta!

Autoscatto di vetta!

Foto di rito, un morso a una barretta, un bicchiere di tè caldo e via, si riparte. Procedo sicura sulla cresta constatando con soddisfazione che mi sento incredibilmente più a mio agio che all’andata, e sì che il percorso è lo stesso!!!

Superiamo con l’aiuto di una doppia il tratto di roccia più ripido e rimettiamo i piedi sul ghiacciaio. Sono circa le 10.30 della mattina, siamo partiti da poco più di sei ore e mezza e siamo perfettamente in orario. Mi avvierei volentieri sulla strada del ritorno ma a poche centinaia di metri da noi c’è la seconda vetta da conquistare: il Dome de Neige. Un ultimo sforzo e senza nemmeno accorgercene siamo in cima anche al nostro secondo 4000 di giornata, questa volta solo noi due, gli altri sono già scesi tutti.

La vetta del Dome de Neige è un morbido e accogliente panettone di neve così, finalmente, abbiamo la possibilità di guardarci attorno con calma e possiamo fermarci per qualche minuto a godere della tranquillità e del silenzio della vetta.

Nando si gode la vetta del Dome de Naige

Nando si gode la vetta del Dome de Naige

Rispondo con un sorriso soddisfatto ai complimenti del mio “capo cordata” e, sistemati i ramponi, siamo pronti ad affrontare la lunga discesa.

Chiara impegnata nella  discesa del pendio

Io impegnata nella discesa del pendio

Solo una volta fuori dal ghiacciaio, finalmente rilassata, inizio a percepire con più consapevolezza tutte le emozioni che durante la salita erano rimaste come in stand-by, sopraffatte dalla necessità di rimane concentrata.

Chiara sulla parte terminale del ghiacciaio.

Persa tra i miei pensieri sulla parte terminale del ghiacciaio.

Penso e ripenso a quanto fatto e man mano che mi abbasso di quota non ho dubbi: ne vale sempre la pena!!! a quando la prossima avventura?

Chiara

3 Commenti a "Barre des Ecrin e Dome de Neige: in vacanza sui 4000!"

  1. Lorenzo scrive:

    Attenzione, Berera alla “macchina da scrivere”! Complimenti! Ottimo articolo e bellissima gita!

  2. GIANLU scrive:

    Complimenti ragazzi continuate con queste bellissime esperienze viva il Gap

    1. Nando scrive:

      Grazie Gianlu!

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