CAMBIA LINGUA

Via Amazzonia (IV+, V+) – Piccolo Dain, Parete del Limarò

Questo periodo dell’anno è perfetto per godersi l’arrampicata ad Arco.
Giornate serene, quella tipica atmosfera rilassata e profumata di uva di inizio autunno. Il sole caldo e l’aria fresca. Le vie in montagna che incominciano ad essere al limite della praticabilità, la voglia di scalare senza soffrire troppo gli avvicinamenti. Un mix di ingredienti che rendono irresistibile la valle del Sarca.
Optiamo per questa via che avevo adocchiato a luglio. La giornata è mite, partiamo prestissimo e alle 8.30 siamo all’attacco.
Siamo in tre e l’accordo è che io ed Elia ci saremmo suddivisi i tiri, 5 a testa, da capicordata. Alessandro ci avrebbe seguito con la consueta tranquillità che abbiamo imparato a conoscere e apprezzare.
Elia ci prende gusto e praticamente tira tutta la via, riservandomi solo il tiro più duro (5c).Da vero gentleman, lo lascia a me, rispettando gli accordi presi alla base.
In realtà ne facevo anche a meno, dato che la sera prima ho tirato tardi e ho dormito poche ore.
Comunqe, la roccia è buona e la via divertente. Solo in uscita bisogna prestare attenzione a non smuovere sassi, se sotto ci sono altre cordate. Ottimamente chiodata a spit, questa via è consigliabile a tutti. Dalle cordate alle prime esperienze, data la chiodatura ascellare, agli esperti in cerca di relax e divertimento.
Come di consueto terminiamo la giornata con un giro ad arco…dove mi rimane attaccato alle dita..un casco nuovo di zecca, dopo aver strisciato il bancomat..naturalmente.
La stagione sta volgendo al termine, ma speriamo di toglierci altre soddisfazioni.
Nando

Torre Maria al lago Rotondo

Nell’ultima gita estiva del gruppo vogliamo rendere un omaggio ad un amico del GAP: su invito di Benigno vorremmo raggiungere la vetta della Torre Maria (già Torre del Lago), al lago Rotondo, al cospetto del Pizzo di Trona. Qui nel 1994, vent’anni fa, don Roberto Pennati con i ragazzi della comunità dell’Agro lasciava una piccola e discreta statua della Madonna.

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Presolana, Via Longo (IV, V).

Nell’ultimo week-end d’estate riusciamo ad onorare la Presolana, salendo il mitico Spigolo Sud.
Quasi come un pellegrinaggio ogni anno ci sentiamo in dovere di ripercorrerlo, il bello è che non stanca mai e si trovano sempre situazioni diverse che lo rendono interessante.
A questo giro siamo addirittura in 6, contribuendo a mantenere la fama di itinerario iperfrequentato. Oltre ai sempre più motivati Elia ed Alessandro, riesco a convincere il mitico Aldo, che porta in dote anche “Robimàt” e “Leù”, al secolo Roberto e Silvano, quest’ultimo di soli 15 anni.
Due cordate, due stili diversi. Ce ne accorgiamo subito quando noi scendiamo dall’auto con 3 zaini pronti e ci godiamo “il cinema” dei nostri soci che smontano e rimontano gli zaini un paio di volte discutendo sul materiale da portare e i pesi da suddividere. Non abbiamo capito se stavano ancora dormendo o erano le birre della sera prima!
Come sempre la compagnia dell’Aldo è sinonimo di risate e divertimento, tra una imitazione dei Favresse, considerazioni sulle “bele steline” che arrampicano e innumerevoli “mitico!, roccia!, a set ù leù”…ben presto si arriva all’attacco.
Ad aspettarci troviamo il corso Roccia del CAI, ma gli istruttori molto gentilmente ci lasciano strada.Parto per primo io, con Alessandro ed Elia, a seguire gli altri tre. Da tempo non mi capitava di arrampicare in Presolana con una bella giornata di sole, la roccia è calda. I movimenti sono precisi e fluidi, i miei due compagni seguono veloci. Procediamo bene, sono tranquillo mi godo la scalata sullo spigolo, come non accadeva da tempo.

La seconda cordata ci segue a breve, riusciamo anche a far due chiacchiere e scherzare. Sul traverso evito l’orrendo spit messo per banalizzare il passaggio, in nome di una sicurezza maggiore, tutta da dimostrare. Le classiche, come certi dipinti d’autore possono essere certamente restaurate, ma non stravolte. Chi è abituato alle classiche e si muove sulle difficoltà che sa gestire, non ha certo bisogno di uno spit a un metro da un altro chiodo ben messo, per sentirsi sicuro.

Ben presto siamo fuori dal tratto tecnicamente più difficile e dobbiamo affrontare quello con difficoltà più contenute, ma più infido per la qualità della roccia e l’orientamento che richiede un pò di esperienza e intuizione.

Qui il meccanismo si inceppa e Aldo e soci ci avvisano che hanno problemi di grovigli con le corde.
Sorrido, chissà che cosa hanno combinato. Aspettiamo un po’. I minuti di attesa sembrano lunghissimi e divento impaziente. Chiedo come va, la situazione non sembra migliorare. La strada da fare è ancora molta, il tempo sta cambiando, il tempo passa. Alla fine decidono di calarsi e ci danno il via libera per proseguire senza di loro.

L’appuntamento è ai Cassinelli, recuperiamo concentrazione e partiamo per la seconda parte del viaggio. Dopo un paio di tiri, ritrovo memoria e riferimenti visivi e ben presto attacchiamo le creste finali dello spigolo, con un mare di nubi attorno a noi che lasciano ampi squarci di panorami, sembra quasi di volare. Ancora un po’ di rocce e canali erbosi, e la Presolana d’un tratto finisce…non ce n’è più siamo in cresta, di lì a poco la vetta. La felicità è sempre grande, aumentata dalla soddisfazione che leggo negli occhi dei miei giovani soci.

Peccato che gli altri abbiano avuto problemi.

Scendiamo dal canale Bendotti, dove veniamo colti da una pioggia intensa poco oltre le difficoltà. Decidiamo di seguire il sentiero che costeggia le pareti, data la scarsa visibilità. Sono un po’ in apprensione perchè temo che gli altri, ai Cassinelli, siano preoccupati per noi dato il peggioramento del meteo.

Passando sotto la sud, vediamo i ragazzi del corso che si stanno calando, chiedo dei nostri soci e con grande sorpresa ci dicono che sono ancora in parete, stanno per effettuare l’ultima doppia. Hanno trovato traffico e sono rimasti appesi tre ore buone.

Li aspettiamo, chiacchierando con i corsisti.
Alla fine arrivano anche loro…ancora qualche battuta poi filiamo giù, verso la meritata birra.

La Presolana sa regalare sempre momenti intensi, o forse sono i compagni di scalata che la rendono di volta in volta un po’ speciale.

Spigolo tra gli abeti, i magnifici 6, il pilastro da sotto

 

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Zucco di Pesciola – Via Gasparotto (IV, IV+)

L’ ambiente è quello dei Piani di Bobbio, del rifugio Lecco preso d’assalto per il pranzo domenicale; lo Zucco di Pesciola e lo Zuccone Campelli presentano vie di arrampicata classica. La scelta ricade sulla Via Gasparotto, sette lunghezze: IV°, IV°+.

Un buon punto di partenza per approcciare lo stile classico d’arrampicata: il raggiungimento della vetta, la tecnica da camino, il calcare, le nebbie, la roccia fredda, l’atmosfera, le preoccupazioni, la soddisfazione finale.
Si formano due cordate: Nando ed Alessandro precedono me ed Enrico, che affrontiamo la nostra prima via come cordata autonoma. Procediamo in alternato. La presenza di Nando fornisce la tranquillità e le giuste vibrazioni per salire con serenità; la recente chiodatura fa il resto, rendendo di facile intuizione il percorso, sempre in sicurezza. I primi tre tiri servono per raggiungere una cengia dalla quale parte l’ascesa alla vetta. Il camino alla quarta lunghezza è divertente e fornisce la giusta adrenalina, lo spigolo finale è esposto, molto estetico e dà soddisfazione. L’ arrampicata è sempre sostenuta, mai banale, continua, piacevole e divertente.

Il fatto di essere per la prima volta in cordata con Enrico, col quale si è iniziato ad arrampicare in palestra ed a preparare il salto per pareti importanti dà soddisfazione, è un punto di partenza. E’ la presa di coscienza, la consapevolezza di poter iniziare a muoversi in ambienti grandiosi in autonomia; ho vissuto questa giornata un po’ come il giorno in cui prendi la patente dell’automobile. La strada da fare è molta, l’esperienza da accumulare infinta, le giornate da vivere, le emozioni e le paure sono lì che aspettano.

Gran Paradiso (4.061 m)

Verso luglio mi contatta un mio compagno di università, Lorenzo,  in cerca di partecipanti per raggiungere la vetta del Gran Paradiso. Fatichiamo a trovare altri soci di spedizione ma, verso la fine di agosto, praticamente una settimana prima di partire, ecco che si aggiungono Tommaso, in cerca di nuove esperienze adrenaliniche e il caro vecchio socio della montagna Matteo.
Sistemati gli ultimi aspetti organizzativi ( abbigliamento da portare, nodi da cordata etc…) scegliamo, azzardando, di andare per il 2-3 settembre; fortunatamente il meteo ci ha graziati regalandoci due giorni davvero splendidi.
E così, martedì 2 settembre, a pomeriggio quasi inoltrato partiamo alla volta del rifugio Vittorio Emanuele speranzosi di avere delle condizioni ideali l’indomani. La salita ci regala paesaggi sempre più belli tant’è che la frase più ricorrente del gruppo è “Ada che bei posti!”. Verso le 16 raggiungiamo il rifugio ben contenti di togliere gli zaini pesanti dalle spalle, ci sistemiamo in camera e iniziamo a dare un’occhiata alla cartina per non trovarci troppo impreparati durante la salita alla vetta ( dopotutto è stata la prima esperienza senza gente esperta al fianco ).
Il giorno dopo la sveglia è puntata alle 4.45, ci svegliamo al ritmo di Conga e iniziamo a prepararci.
Attraversiamo una sorta di pietraia per circa un’oretta finché finalmente non  arriviamo alla volta del ghiacciaio, calziamo i ramponi, ci leghiamo in cordata e iniziamo a muovere i primi passi su una neve molto compatta.
La temperatura non è così bassa come pensavo e il vento non si fa sentire troppo così in circa quattro ore raggiungiamo con tranquillità il colletto appena sotto la madonnina, di gente ce n’era davvero tanta e quindi per arrivare veramente in vetta impieghiamo circa un’altra ora, dato che bisogna attraversare un “sentiero” molto stretto ed esposto, per consentire alle altre cordate di scendere.
L’emozione una volta in vetta è davvero tanta, strette di mano e foto ricordo sono doverose; il paesaggio è proprio stupendo, non una nuvola all’orizzonte, tanto da permetterci di vedere tutte le principali vette valdostane.
Una volta ritornati con i piedi sul ghiacciaio ci rendiamo davvero conto di quel che abbiamo fatto ovvero esser riusciti, alle prime esperienze, a raggiungere una vetta di tutto rispetto!

Raggiunto nuovamente il Vittorio Emanuele brindiamo al successo con l’immancabile radler, più di una…

Lorenzo

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Monte Castore (4.228) m

Finalmente dopo tanta attesa sempre con un occhio al meteo ballerino, siamo riusciti a realizzare la gita “regina” del calendario di uscite del Gap di quest’anno.
Piazziamo la salita nell’unica finestra di bel tempo, in mezzo a tanta variabilità metereologica. Per vari motivi perdiamo un po’ di iscritti prenotati per luglio. La settimana è in effetti in periodo vacanziero profondo. Siamo comunque in undici e circa la metà di noi è al cospetto del suo primo “4000”.
Lasciamo Scanzo con un tempo infame e nonostante il meteo sia buono per il giorno seguente, l’incertezza e i dubbi sono davvero molti. Ma l’ottimismo del Gigi e del Marco non ci fanno disperare troppo..e con un po’ di follia partiamo. In effetti in Val d’Aosta il tempo è migliore con ampi squarci di cielo azzurro e sole. E soprattutto niente acqua.
Il primo giorno risaliamo una scomoda pietraia che si trasforma in cresta rocciosa prima dell’arrivo al rifugio Sella. Il secondo giorno sveglia alle cinque, calziamo i ramponi fuori dal rifugio e risaliamo il ghiacciaio del Felik. Da lì al colle omonimo che ci porterà verso le creste finali e la vetta.
Non vorrei scrivere la cronaca di questa gita, preferirei lasciar parlare le immagini, affinchè ognuno dei participanti vi ritrovi le emozioni che ha vissuto e chi non ci è stato e ci segue virtualmente, possa godere dei paesaggi,  nel modo silenzioso e un po’ ovattato tipico di questi ambienti.
Per me il fascino dell’alta quota risiede nel misurare se stessi sopra la fatidica altezza dei 4000 metri, a diretto contatto con gli elementi naturali, i ghiacciai, il freddo, l’aria “fine”. Mette a nudo ciascuno di noi, saggiando la propria condizione fisica, la naturale capacità di reagire alla scarsità d’ossigeno e la determinazione mentale di affrontare la fatica e l’ambiente circostante.
In alta quota, quando si raggiunge la vetta,  la stretta di mano con i nostri compagni di avventura è sempre un po’ più emozionante e il pensiero per chi è a casa, più forte.
Nando

Torrione Palma, Via Cassin (V, V+)

Da un po’ di tempo mi gironzolava in testa questa via, ma le condizioni meteo non erano mai giuste o non trovavo il compagno. Quando finalmente Monsier Marcò, molla la corsa per una giornata di roccia, ci dirigiamo piuttosto determinati in Grignetta e di lì alla base della parete in compagnia di un altra cordata, trovata per caso.
Beffa delle beffe, l’unica parete zuppa sul versante meridionale è proprio il Torrione Palma, dove corre la via.
Mestamente andiamo a berci un caffè al Rosalba meditando sul da farsi, ed optiamo per lo spigolo mari e monti alla Torre Cecilia. L’altra cordata si ingaggia sulla ben più dura Unicef al Torrione del Cinquantenario.
Superiamo i 4 tiri scarsi della via con scioltezza…è ancora presto e non ci sentiamo soddisfatti.
Da veri testoni orobici ritorniamo alla base del Palma, dove le condizioni sono identiche alla mattina, ma a noi magicamente sembra “più asciutta”.
Asciutta non è, soprattutto la placca del secondo tiro. Fosse per me avrei già buttato le doppie, ma il Marco si ricorda di essere un rocciatore di gran classe, anziché maratoneta e si ingaggia con coraggio. Passa azzerando, ma passa.
Dopo il terzo tiro ancora bagnato e delicato, la via poi è finalmente asciutta ed iniziamo a goderci l’arrampicata esposta ed aerea, su roccia da interpretare. Una via in stile Cassin, appunto. Provo una certa emozione a toccare e fotografare dei chiodi che per forma, dimensioni e assenza di marchi hanno tutta l’aria di essere quelli piantati dal Riccardone nel 1931, all’apertura della via. O cmq a me piace pensare che sia così.
Il fascino delle classiche è anche questo…capire lo stile e le intuizioni dei primi salitori e ripercorrerne la storia.
Usciamo sul torrione verso le cinque, un po’ nelle nebbie, ma il tempo regge. Una giornata a zonzo sulle crode (21/08/2014). Siamo soddisfatti.
Come al solito avevo documentato ampiamente la salita alla via Cassin.
Però giunti in vetta, la mia macchina fotografica ha deciso con un balzo di riprendersi la libertà e si è lanciata nel vuoto, finendo in un canalone difficilmente raggiungibile.
Quello che è rimasto, sono due foto nel cellulare e la soddisfazione di aver condiviso una giornata di arrampicata con un amico.
Nando

Regina d’Agosto.

6.21 suona la sveglia.  21, che fa meno male di 20.
Ci vuole un momento per riconnettermi col mondo.. uff perchè suona?
..ah si montagna, camminare.
Maledettte birre e ore piccole.
L’ultima chance per girarsi nel letto è il proverbiale meteo di m.. di quest’anno.
Guardo fuori, non sembra male…..
Mi ributto in branda, dai per camminare è presto. Dormo altri 20 minuti. Poi quasi in automatico, mi tiro su, raccatto lo zaino ed esco. Devo rispettare il mio personale codice cavalleresco. Se dico che vado e c’è bello, vado. Più che altro per non farmi sfottere per il resto della settimana dai soliti noti.
Poi, del resto sto a casa a fare?
Agosto è un mese per certi versi terribile. E’ noioso come la domenica pomeriggio e il primo dell’anno. Solo che dura 31 giorni.  E io non ho soci per arrampicare, spersi ai quattro angoli del mondo. Anche l’ultima risorsa che contatto, è stato imbrigliato dalla morosa, un’ora prima della mia telefonata esplorativa del sabato.
Ad Agosto non c’è in giro nessuno e può diventare un opportunità. Fai cose inusuali ..uscire a cena con amici che non senti da tempo, prendere la bici e girare la città semideserta di notte, andare in montagna da solo. Tipo in Presolana.
Non che sia chissà che cosa, ma appena provi a dire che vai da solo in montagna è una sollevazione popolare di gente che ti sconsiglia. Dalla mamma, all’ultimo degli amici “bar sport”. Quello che l’ultima volta che è stato in montagna l’ha portato suo padre, quando aveva la Fiat Ritmo.
Al Passo inizio a camminare, intenzionato a salire con un ritmo regolare, godendomi un po’ di quiete. Detto fatto due comaschi mi si piazzano alle calcagna e poi mi superano. Spero mi mollino lì, invece rallentano…mi tocca salire insieme. La sensazione è quella di essere in una spiaggia deserta e puntuale vedersi arrivare la famigliola chiassosa, che pianta l’ombrellone a due passi da te.
Per fortuna le rampe tagliagambe dopo i cassinelli mi danno una mano. E ben presto restano indietro. Finalmente quello che cercavo. Stare un po’ per i fatti miei. Mi godo le pareti, e i torrioni della sud, che mostrano abbondanti venute d’acqua. Mi consola, arrampicare oggi sarebbe stata dura.
Breve sosta alla grotta dei pagani per un sorso d’acqua poi riparto subito. Sulle roccette che salgono lungo la normale alla vetta Occidentale non c’è nessuno. Il silenzio e le pareti intorno mettono in soggezione. Richiamano al rispetto. Mi concentro sui movimenti, secondo grado, ma sempre piacevole usare mani e piedi per salire. Comunque non c’è da distrarsi. In breve tempo sono in vetta, dove vengo raggiunto dalle proverbiali nebbie presolaniche. Riesco comunque a godermi il panorama e soprattutto il silenzio. Sono solo. Ci rimarrò per 30 minuti abbondanti.Sempre emozionante la cima di una montagna. Momenti tranquilli pieni di senso, di gioia di completezza.

Leggo un po’ il libro di vetta e trovo scritti bei pensieri e altri volgari. La retorica che chi va in montagna è una persona migliore non regge. Però in montagna ci vanno tante belle persone.
E di questo si, ne sono abbastanza sicuro.Nando

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Via Zucchi (IV, IV+), Pilone centrale grigna

In auto, mentre saliamo ai Resinelli, Alessandro mi domanda cosa intendo per via alpinistica.
Spiego un pò…una salita in cui l’impegno complessivo è dato da molti fattori, non solo la difficoltà pura. Occorre valutare meteo, orientamento, le difficoltà per trovare l’attacco, il tempo di salita, i pericoli oggettivi, l’ambiente circostante. Tutti elementi capace di condizionare testa e la motivazione della cordata.
In quel momento ricordo come mai questo versante della Grigna mi ha sempre intimorito. Labirintico e tortuoso il sentiero, pieno di guglie identiche, non facile orientarsi se non lo si conosce bene.
Ma soprattutto il luogo dove nel lontano 1999, nella mia prima esperienza “di via alpinistica” e in compagnia di un amico solo a parole più esperto, finimmo fuori via. Scalammo un camino bagnato  e sprotetto orrendo, battemmo in ritirata calandoci su una microclessidra. Impregnai i vestiti di una buona dose di paura, come ama dire Elia, e ce ne tornammo “scornati” sul sentiero Cecilia. Con grande sollievo per essere atterrati di nuovo coi piedi per terra.

Forse è anche per questo, che ho sempre schivato questa zona e non avevo mai molta voglia di ingaggiarmi su questo versante. Nonostante io ed Elia avessimo la via Zucchi, nel mirino già da qualche tempo. Però prima poi andava fatta e nell’unico giorno di meteo soddisfacente  ci presentiamo all’attacco, in tre. L’inedita cordata è composta dal sottoscritto, Elia ed Alessandro, che sfoggia un paio di occhiali glamour, più in linea con un aperitivo sulla spiaggia.
Stile Alpino per la via, stile Glamour per il look. Non ci manca niente.

Dopo il primo tiro affrontato con un po’ di indecisione, troviamo il giusto ritmo e al giusta linea. Bella via, un po’ discontinua arrivando dalle Dolomiti. Ma complessivamente divertente.
Dove serve i chiodi ci sono, ma io ho trovato utile integrare e proteggermi con qualche friend.
L’uscita coincide con l’ultimo tratto della segantini, che ci impegna per una mezz’oretta abbondante. Attacchiamo alle 9.15, usciamo in vetta alle 12.45. Per essere in tre non male.
La soddisfazione mia e dei miei soci e qualche signorina in bikini a prendere il sole in vetta, sono il premio di giornata.
Nando