CAMBIA LINGUA

Zucco di Pesciola – Via Gasparotto (IV, IV+)

L’ ambiente è quello dei Piani di Bobbio, del rifugio Lecco preso d’assalto per il pranzo domenicale; lo Zucco di Pesciola e lo Zuccone Campelli presentano vie di arrampicata classica. La scelta ricade sulla Via Gasparotto, sette lunghezze: IV°, IV°+.

Un buon punto di partenza per approcciare lo stile classico d’arrampicata: il raggiungimento della vetta, la tecnica da camino, il calcare, le nebbie, la roccia fredda, l’atmosfera, le preoccupazioni, la soddisfazione finale.
Si formano due cordate: Nando ed Alessandro precedono me ed Enrico, che affrontiamo la nostra prima via come cordata autonoma. Procediamo in alternato. La presenza di Nando fornisce la tranquillità e le giuste vibrazioni per salire con serenità; la recente chiodatura fa il resto, rendendo di facile intuizione il percorso, sempre in sicurezza. I primi tre tiri servono per raggiungere una cengia dalla quale parte l’ascesa alla vetta. Il camino alla quarta lunghezza è divertente e fornisce la giusta adrenalina, lo spigolo finale è esposto, molto estetico e dà soddisfazione. L’ arrampicata è sempre sostenuta, mai banale, continua, piacevole e divertente.

Il fatto di essere per la prima volta in cordata con Enrico, col quale si è iniziato ad arrampicare in palestra ed a preparare il salto per pareti importanti dà soddisfazione, è un punto di partenza. E’ la presa di coscienza, la consapevolezza di poter iniziare a muoversi in ambienti grandiosi in autonomia; ho vissuto questa giornata un po’ come il giorno in cui prendi la patente dell’automobile. La strada da fare è molta, l’esperienza da accumulare infinta, le giornate da vivere, le emozioni e le paure sono lì che aspettano.

Torrione Palma, Via Cassin (V, V+)

Da un po’ di tempo mi gironzolava in testa questa via, ma le condizioni meteo non erano mai giuste o non trovavo il compagno. Quando finalmente Monsier Marcò, molla la corsa per una giornata di roccia, ci dirigiamo piuttosto determinati in Grignetta e di lì alla base della parete in compagnia di un altra cordata, trovata per caso.
Beffa delle beffe, l’unica parete zuppa sul versante meridionale è proprio il Torrione Palma, dove corre la via.
Mestamente andiamo a berci un caffè al Rosalba meditando sul da farsi, ed optiamo per lo spigolo mari e monti alla Torre Cecilia. L’altra cordata si ingaggia sulla ben più dura Unicef al Torrione del Cinquantenario.
Superiamo i 4 tiri scarsi della via con scioltezza…è ancora presto e non ci sentiamo soddisfatti.
Da veri testoni orobici ritorniamo alla base del Palma, dove le condizioni sono identiche alla mattina, ma a noi magicamente sembra “più asciutta”.
Asciutta non è, soprattutto la placca del secondo tiro. Fosse per me avrei già buttato le doppie, ma il Marco si ricorda di essere un rocciatore di gran classe, anziché maratoneta e si ingaggia con coraggio. Passa azzerando, ma passa.
Dopo il terzo tiro ancora bagnato e delicato, la via poi è finalmente asciutta ed iniziamo a goderci l’arrampicata esposta ed aerea, su roccia da interpretare. Una via in stile Cassin, appunto. Provo una certa emozione a toccare e fotografare dei chiodi che per forma, dimensioni e assenza di marchi hanno tutta l’aria di essere quelli piantati dal Riccardone nel 1931, all’apertura della via. O cmq a me piace pensare che sia così.
Il fascino delle classiche è anche questo…capire lo stile e le intuizioni dei primi salitori e ripercorrerne la storia.
Usciamo sul torrione verso le cinque, un po’ nelle nebbie, ma il tempo regge. Una giornata a zonzo sulle crode (21/08/2014). Siamo soddisfatti.
Come al solito avevo documentato ampiamente la salita alla via Cassin.
Però giunti in vetta, la mia macchina fotografica ha deciso con un balzo di riprendersi la libertà e si è lanciata nel vuoto, finendo in un canalone difficilmente raggiungibile.
Quello che è rimasto, sono due foto nel cellulare e la soddisfazione di aver condiviso una giornata di arrampicata con un amico.
Nando

Via Zucchi (IV, IV+), Pilone centrale grigna

In auto, mentre saliamo ai Resinelli, Alessandro mi domanda cosa intendo per via alpinistica.
Spiego un pò…una salita in cui l’impegno complessivo è dato da molti fattori, non solo la difficoltà pura. Occorre valutare meteo, orientamento, le difficoltà per trovare l’attacco, il tempo di salita, i pericoli oggettivi, l’ambiente circostante. Tutti elementi capace di condizionare testa e la motivazione della cordata.
In quel momento ricordo come mai questo versante della Grigna mi ha sempre intimorito. Labirintico e tortuoso il sentiero, pieno di guglie identiche, non facile orientarsi se non lo si conosce bene.
Ma soprattutto il luogo dove nel lontano 1999, nella mia prima esperienza “di via alpinistica” e in compagnia di un amico solo a parole più esperto, finimmo fuori via. Scalammo un camino bagnato  e sprotetto orrendo, battemmo in ritirata calandoci su una microclessidra. Impregnai i vestiti di una buona dose di paura, come ama dire Elia, e ce ne tornammo “scornati” sul sentiero Cecilia. Con grande sollievo per essere atterrati di nuovo coi piedi per terra.

Forse è anche per questo, che ho sempre schivato questa zona e non avevo mai molta voglia di ingaggiarmi su questo versante. Nonostante io ed Elia avessimo la via Zucchi, nel mirino già da qualche tempo. Però prima poi andava fatta e nell’unico giorno di meteo soddisfacente  ci presentiamo all’attacco, in tre. L’inedita cordata è composta dal sottoscritto, Elia ed Alessandro, che sfoggia un paio di occhiali glamour, più in linea con un aperitivo sulla spiaggia.
Stile Alpino per la via, stile Glamour per il look. Non ci manca niente.

Dopo il primo tiro affrontato con un po’ di indecisione, troviamo il giusto ritmo e al giusta linea. Bella via, un po’ discontinua arrivando dalle Dolomiti. Ma complessivamente divertente.
Dove serve i chiodi ci sono, ma io ho trovato utile integrare e proteggermi con qualche friend.
L’uscita coincide con l’ultimo tratto della segantini, che ci impegna per una mezz’oretta abbondante. Attacchiamo alle 9.15, usciamo in vetta alle 12.45. Per essere in tre non male.
La soddisfazione mia e dei miei soci e qualche signorina in bikini a prendere il sole in vetta, sono il premio di giornata.
Nando

Scendo dalle dolomiti come un uomo nuovo…

Con queste parole esordisco dopo aver portato a termine la scalata del diedro Pederiva, quinta torre del Masarè gruppo del Catinaccio.
Queste per me sono delle parole non buttate a caso, ma che esprimono sinceramente il mio stato d’animo nel constatare che nonostante io sia sulla soglia dei trent’anni, attraverso l’arrampicata  possa ancora scoprire esperienze e stati d’animo a me nuovi che sanno lasciarmi senza fiato…..Come l’essere sospesi a cento metri da terra all’interno di un diedro-camino da scalare in spaccata, stare in sosta su di una cengia dallo spazio molto limitato, sentire il freddo e il viscido di una roccia bagnata in certi punti ma sempre solidissima, il silenzio della progressione di Nando il primo di cordata che con sicurezza supera i vari ostacoli, attendendo poi il nostro turno.

Ok è quarto grado, ma passa su te!!
questa è un’altra considerazione sempre fatta a freddo, si perché nella mia, seppure breve, carriera d’arrampicata, le dolomiti hanno sicuramente aperto una nuova frontiera, che non è fatta di gradi e di prese in plastica, ma di roccia, fatica, silenzio, verticalità, responsabilità e rispetto per i compagni.
Ringrazio Nando il mio compagno di vacanza e anche Alfio con il quale abbiamo scalato l’ultima giornata e ora ALLENARSI!!che sto già sentendo la febbre dolomitica salire in me e devo tornare in questi splendidi posti!!
Magari chi lo sà,da primo di cordata, regalando a qualcun’altro delle indelebili emozioni….

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Diedro Pederiva (IV, IV+), Quinta Torre del Masarè.

Ancora una giornata dal meteo incerto. E’ una settimana così.
Dopo lungo confronto con Alfio, decidiamo per questo itinerario, che grazie alla seggiovia offre un avvicinamento ragionevole (50 min) e una lunghezza della via ideale per le condizioni atmosferiche.
Partiamo da Arco alla volta della Val di Fiemme, dove entriamo di buon ora e naturalmente veniamo accolti da una bella pioggia. Teniamo duro, il meteo dava schiarite, siamo troppo decisi a non arrenderci in fretta. Se dobbiamo essere respinti dalla pioggia, che sia sotto la parete mentre infilo l’imbrago, come spesso è successo in Presolana.
Fa abbastanza freddo, ma al rifugio Roda di Vael le tanto attese schiarite arrivano.
Ci dirigiamo verso la nostra destinazione un evidente diedro che percorre l’intera parete. Un bel percorso classico.
All’attacco Alfio mi cede il comando della cordata. Sono un po’ spiazzato, mi aspettavo di salire in relax e invece questa volta tocca a me. Sono fiducioso e concentrato, del resto scalo da tutta settimana e mi sento motivato. Scaliamo con giacca a vento e berretta, è bella fresca.
“Potà quelli forti scalano col Duvet” esclamo, tra le risate degli altri.
Dopo il primo tiro erboso, si inizia a fare sul serio. La roccia in alcuni tratti è umida e richiede un po’ di attenzione in più. Come altre volte, la mente mi si libera di tutti i casini e si focalizza solo sulle cose essenziali. Valutare appoggi e appigli, procedere verso l’alto, cercare il punto migliore per passare, mettere protezioni dove occorre e dove è possibile. Poco alla volta trovo il ritmo giusto e procedo concentrandomi solo sui movimenti.
Come altre volte, trovo la sintonia giusta tra pensieri e gesti. L’essenza dell’arrampicare.
Il tiro chiave è logico, interessante, con i chiodi dove servono. Alfio ed Enrico mi osservano pazienti e mi danno il giusto grado di sicurezza e serenità. Mentre mi sporgo sull’ultimo tratto strapiombante del tiro, in evidente spaccata sento esclamare dal basso un “uoooh” di Enrico e mi sento come allo stadio, dopo aver calciato il pallone fuori di poco dalla porta.
Un po’ di indecisione su un tiro bagnato viene corretta dal sempre ottimo Alfio, che guardando la relazione mi dà le indicazioni opportune. Come al solito affidabile col consiglio giusto quando serve.
I miei compagni seguono sicuri e senza problemi, Enrico ha modo di apprezzare lo stile preciso e pulito di Alfio, un ottimo esempio da imitare.
La via è una classica da manuale, verticale, logica, mai banale, ma non dura. Veramente consigliabile. La perfetta conclusione di una settimana su roccia.
Ultimo muretto di quarto deciso e sono sul sentiero, dove recupero i compagni dal cavo della ferrata, tra lo sguardo perplesso di una comitiva di tedeschi che deve passare esattamente in quel momento.
Avranno pensato al solito casinista italiano, ma non osano dirmi niente.
Del resto…quelli forti scalano col “Duvet” :-D

Nando

Via Orizzonti Dolomitici (IV+, V) – Piccolo Dain, Parete del Limarò

Scegliamo questa via perché il nome ci sembra di buon auspicio.
In effetti abbiamo una gran voglia di “orizzonti dolomitici”.
Non solo nel senso dei panorami da osservare, ma di pareti sulle quali misurarci nell’inconfondibile stile “classico” che quei luoghi ancora per fortuna conservano.
In realtà sappiamo bene che questa via è rilassante, iperchiodata a spit, con soste molto buone, difficoltà contenute e rese solo un po’ più dure dalle numerose ripetizioni, che hanno unto la roccia.
A noi ha ricordato molto l’ambiente dell’antimedale sopra Lecco.
Davanti a noi due tedeschi “rotondetti”, che non hanno proprio l’aria da climber. A seguire noi, che anche se di poco sembriamo arrampicatori e mentre ci prepariamo arriva un gruppo di adulti e ragazzini, età media 12 anni, che affronteranno la nostra stessa via. Undici tiri di IV e V grado.
Conto 4 cordate, un adulto e due ragazzini ciascuna. Veloci, preparati, arrampicano con disinvoltura. Rimango impressionato. Veramente complimenti.
Più tardi scopriremo che sono un gruppo di alpinismo “junior” austriaco e che spendono un paio di settimane di vacanze all’anno, arrampicando qua e là per la Valle del Sarca.
Ancora una volta rifletto sul fatto che in questa valle l’arrampicata è stata trasformata in una risorsa economica e come in alcune realtà alpine la montagna è vissuta con naturalezza. Questo stride con la nostra realtà orobica, che seppur densa di tradizione alpinistica e passione, fatica a portare ragazzi e genitori in montagna.
Tra queste riflessioni e un controllo al socio ogni tanto, saliamo rapidamente divertendoci. Siamo sempre a vista e non ci diamo comandi vocali, ma semplicemente a gesti. Minimalisti e stilosi, senza sbraitare inutilmente, come veterani navigati.
Faccio passare Enrico in testa e lui pensa bene di far terminare precocemente la carriera alla sua piastrina, perdendola nel vuoto.
Otto euro in meno e tutta esperienza in più.
Anche ai big del GAP capita.
Nando

Torre Juac, Via del Rifugio (forse)

Mi è capitato di sbagliare un attacco, o qualche tiro di una via.
Una parete mai.
Il bello è che se ne accorge Enrico, che aprendo il libro di vetta…
- “Libro di vetta, Torre Juac!!”
- “Come Torre Juac? si vede che la chiamano così quelli del rifugio, sulla guida del Bernardi è la torre Firenze”
Enrico va avanti a leggere.
- “..via che speriamo possa diventare una classica ripetuta, primi salitori ignoti, riattrezzata di recente…”
- “Mauro Bernardi”
- “ah”.
Alziamo la testa e vediamo cordate impegnate sulla torre di fronte, quella giusta.
- “fi#@@! Enrico ho sbagliato montagna! cominciamo bene!”
Ecco. Liscio clamorosamente la parete. Sono un tarello, la torre l’ho guardata  mille volte dal Rif. Firenze. A parziale discolpa arriviamo da una posizione diversa e la descrizione dell’avvicinamento non era chiarissimo e in effetti la relazione non è che torni un granchè…ma alla fine con un po’ di pazienza, tiriamo fuori la nostra linea, grazie alle difficoltà modeste che propone (max IV). Altrimento doppie e orecchie basse. A casa con calma ricostruiamo l’itinerario. La via del rifugio secondo noi. Probabilmente con qualche variante Bellotti-Corna.
Del resto anche così nascono gli aneddoti da raccontare in sede al GAP.Sperando che i senatori non mi straccino la tessera…

Nando

Di riffa o di raffa, si passa con la staffa

Week end di tempo incerto, ma non ci scoraggiamo. Optiamo per un giro in falesia a spaccarci gli avambracci al grido del motto orobico per eccellenza.
“Allenarsi”
Scegliamo la bucolica valle dei mulini, sopra Rusio.
Posto bello, ma che non perdona.
L’arrampicata è un mix di tecnica e forza, le pareti da verticali a strapiombanti..roccia ottima a buchi. Il settore che scegliamo presenta solo due tiri sotto al sesto, poi dal 6a a salire.

Alessandro sperimenta tiri ostici e lotta alla grande. Marco con la consueta tranquillità e leggerezza ed Elia con un discreto livello di “pompa” e molta determinazione, forzano i passaggi duri, con qualche resting.

Elia supera quasi in scioltezza un bel passaggio severo dove tutti si fermano a lungo o vengono respinti. Grande risultato.
Io provo due volte (da secondo) e faccio anche i movimenti giusti, ma di tirare quella rigola e mettere i piedi sopra al tettino proprio non c’è verso.

E alla fine, tra risate e battutine, tiro fuori la mia staffa.
“staffa che si passa”…con questa frase in testa, il titolo del post è quasi fatto.
Che alla fine imparare ad usarla bene, viene sempre utile.

Silvia Vidal insegna.

Nando

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La prima via non si scorda mai-Via Chiappa all’Antimedale

Domenica otto giugno,la data fatidica del mio battesimo su di una via alpinistica. Appuntamento al parcheggio di fianco alla sede G.A.P, ore sette,presenti i capocordata Marco con Chiara e Nando,il già”battezzato” Elia,io ed Alessandro appunto alla prima esperienza.

La tensione è palpabile,mi sudano gia le mani tanto da voler metterci  la magnesite,ma sopprassedo.

La meta decisa dai capicordata è la via Chiappa all’Antimedale.

Ci spostiamo quindi in auto fino a Lecco,dove appena sopra le ultime abitazioni,si staglia la figura del Medale ed accanto un po’ più piccola,la sagoma dell’Antimedale….enormi scogli sopra quel ramo del lago di Como.
Dopo aver lasciato l’auto,ci inerpichiamo verso l’attacco della via Chiappa.La camminata è breve ma intensa,Nando con passo deciso ci fa superare un gruppetto di scalatori,scelta giustissima questa, perché ci permette di arrivare,sudati, ma primi all’attacco.
Il tempo di armarsi dell’attrezzatura, via si parte!!Le cordate sono due da tre componenti ciascuna il che permette di progredire in modo preciso e armonioso.
Dopo la prima sosta che raggiungo velocemente guidato dal nervosismo,inizio a godermi l’arrampicata:la roccia, il panorama,le difficoltà con il nodo barcaiolo e l’essere in sosta, a diversi metri d’altezza, gli uni accanto agli altri, mentre si osserva il capocordata progredire.
Ho capito,si finalmente ho capito,cosa c’è di magico in una via alpinistica!!sono al settimo cielo tanto da dire:“scrivero’ sul Blog!!!
Il tempo vola quando ci si diverte e così in un attimo siamo fuori dalla via,ormai sulla sommità dell’Antimedale un po’ provati dal gran caldo della giornata ormai estiva,ma soddisfatti.
Ci si dà la mano con i compagni di cordata,si beve un sorso d’acqua e in un attimo sale ancora l’emozione di avere fatto qualcosa di semplice,ma nel contempo speciale,perché fuori dalla mia personale normalità  di una domenica d’ozio!!
E così,mentre prendiamo con qualche difficoltà il sentiero che discende fino agli zaini lasciati all’attacco della via e poi quello fino alla macchina,ho in mente bene quale sarà il mio motto per quest’estate:MENO SASSABANEK E PIU’ VIE D’ARRAMPICATA!!!