Avevo circa dieci anni quando per la prima volta salii al Rif. Branca. Poi non ci ero più stato. Eppure è un posto a cui sono rimasto molto affezionato, è il luogo dove per la prima volta la montagna mi sorprese e mi emozionò. Quella specie di nodo alla gola che ti prende, quel misto di felicità e sorpresa che ancora oggi provo nelle salite un po’ speciali, in compagnia di persone a cui sono molto legato o di fronte alle montagne importanti.
A dieci anni, avevo degli scarponcini della Timberland, uno zaino Invicta, gli immancabili pantaloncini corti, che mettevo da marzo a novembre (unico caso nella classe) e una maglietta di cotone. Avevo una incredibile borraccia arancione, di alluminio, tutta deformata e rigonfia, che forse ancora oggi conservo e a cui mi attaccavo e bevevo, impregnato com’ero di sudore e di sete. Una sete boia, quelle di chi non sa gestire lo sforzo e cammina e suda senza tregua.
Mi ricordo che sbuffavo stanco e annoiato lungo la strada che saliva al rifugio, continuando a domandarmi quanto mancava. Era una gita di ben tre giorni in quinta elementare, una cosa avveniristica per quei tempi, organizzato dal mitico maestro Egidio, la cui popolarità tra i genitori aveva creato il giusto sostengo ad un esperienza di questo tipo. C’era anche mio padre, che mi ricordo insisteva un casino sulle calzature giuste, lui, che da membro del Soccorso Aereo dell’Areonautica, recuperava spesso durante il servizio escursionisti sprovveduti e mal equipaggiati. Io ero molto orgoglioso che mio padre era dell’Areonautica, volava sugli elicotteri, un mestiere figo. Ero orgoglioso che rompeva le balle, mi dava l’idea dell’esperto.
Il cielo era grigio, l’aria fredda, era maggio, ma un nebbione avvolgeva quasi tutto. Gli altri bambini erano un po’ avanti, mio padre forse un po’ dietro. Salivo solo lontano da tutti. Almeno così a me pare di ricordare.
A un certo punto girato l’ultima curva mi apparve il rifugio. Finalmente, pensai. In quello stesso momento, o poco dopo, o poco prima, la nebbia si alzò un po’ …e apparve maestoso il ghiacciaio dei Forni in tutto il suo splendore.
Rimasi a bocca aperta.
A dieci anni io non avevo il concetto di ghiacciaio in testa, non lo avevo mai visto nemmeno in foto, credo. Forse il Maestro Egidio non me lo aveva ancora spiegato o forse era proprio la lezione di quella giornata.
“la neve? com’è possibile così tanta neve? La neve c’è in inverno. Siamo a primavera”.
Con questa domanda e lo stupore in testa raggiunsi il Rifugio. Ero affascinato e felice. Aveva incominciato a nevicare, o forse grandinare.
L’organizzazione e l’apprensione degli adulti ebbe il sopravvento, finimmo nell’invernale al caldo e all’asciutto. Finchè smise. Poi si richiuse tutto e il ghiacciaio non lo rividi più. Scendemmo a S. Caterina.
Ho pensato spesso negli anni al Rifugio Branca…il posto dove è la montagna per la prima volta mi ha emozionato. E ancora oggi, adulto, ritrovo in quello stupore e in quel senso di felicità (benchè effimera), la motivazione per andare in montagna.
Grazie all’Egidio, a mio padre e a chi avuto voglia di portarmi in giro in tutti questi anni.
Dovevo scrivere del palon de la mare. Ma scusate mi è uscita questa cosa qua.
Nando
Il Rifugio Branca