Ancora, per un virus bastardo, per un incidente banale, per una malattia invincibile, un altro vuoto si è aperto tra di noi.
Eppure dovremmo essere abituati al vuoto: come sulle creste che percorri con l’attenzione di raggiungere un terreno sicuro, con il fiato sospeso, con baratri che ti possono inghiottire.
Ma a questo vuoto non ti abitui, ti senti incredibilmente fragile e solo.
Ancora cerchi negli occhi degli amici il capo della corda da svolgere per riprendere la via, ma trovi il riflesso della rassegnazione di tutti: ancora ci troviamo smarriti, senza ragione, insieme, in gruppo, ma come nella nebbia su un pendio di neve dove tutto è confuso e disorienta.
Allora lasciamo andare ciò che i nostri sensi cercano e dal profondo veniamo raggiunti da immagini, emozioni, sentimenti che riempono di vita il vuoto lasciato.
E uno per l’altro possiamo essere maglie di una rete che ci trattiene dal cadere…
M. D.