CAMBIA LINGUA

Monte Castore (4.228) m

Finalmente dopo tanta attesa sempre con un occhio al meteo ballerino, siamo riusciti a realizzare la gita “regina” del calendario di uscite del Gap di quest’anno.
Piazziamo la salita nell’unica finestra di bel tempo, in mezzo a tanta variabilità metereologica. Per vari motivi perdiamo un po’ di iscritti prenotati per luglio. La settimana è in effetti in periodo vacanziero profondo. Siamo comunque in undici e circa la metà di noi è al cospetto del suo primo “4000”.
Lasciamo Scanzo con un tempo infame e nonostante il meteo sia buono per il giorno seguente, l’incertezza e i dubbi sono davvero molti. Ma l’ottimismo del Gigi e del Marco non ci fanno disperare troppo..e con un po’ di follia partiamo. In effetti in Val d’Aosta il tempo è migliore con ampi squarci di cielo azzurro e sole. E soprattutto niente acqua.
Il primo giorno risaliamo una scomoda pietraia che si trasforma in cresta rocciosa prima dell’arrivo al rifugio Sella. Il secondo giorno sveglia alle cinque, calziamo i ramponi fuori dal rifugio e risaliamo il ghiacciaio del Felik. Da lì al colle omonimo che ci porterà verso le creste finali e la vetta.
Non vorrei scrivere la cronaca di questa gita, preferirei lasciar parlare le immagini, affinchè ognuno dei participanti vi ritrovi le emozioni che ha vissuto e chi non ci è stato e ci segue virtualmente, possa godere dei paesaggi,  nel modo silenzioso e un po’ ovattato tipico di questi ambienti.
Per me il fascino dell’alta quota risiede nel misurare se stessi sopra la fatidica altezza dei 4000 metri, a diretto contatto con gli elementi naturali, i ghiacciai, il freddo, l’aria “fine”. Mette a nudo ciascuno di noi, saggiando la propria condizione fisica, la naturale capacità di reagire alla scarsità d’ossigeno e la determinazione mentale di affrontare la fatica e l’ambiente circostante.
In alta quota, quando si raggiunge la vetta,  la stretta di mano con i nostri compagni di avventura è sempre un po’ più emozionante e il pensiero per chi è a casa, più forte.
Nando

Torrione Palma, Via Cassin (V, V+)

Da un po’ di tempo mi gironzolava in testa questa via, ma le condizioni meteo non erano mai giuste o non trovavo il compagno. Quando finalmente Monsier Marcò, molla la corsa per una giornata di roccia, ci dirigiamo piuttosto determinati in Grignetta e di lì alla base della parete in compagnia di un altra cordata, trovata per caso.
Beffa delle beffe, l’unica parete zuppa sul versante meridionale è proprio il Torrione Palma, dove corre la via.
Mestamente andiamo a berci un caffè al Rosalba meditando sul da farsi, ed optiamo per lo spigolo mari e monti alla Torre Cecilia. L’altra cordata si ingaggia sulla ben più dura Unicef al Torrione del Cinquantenario.
Superiamo i 4 tiri scarsi della via con scioltezza…è ancora presto e non ci sentiamo soddisfatti.
Da veri testoni orobici ritorniamo alla base del Palma, dove le condizioni sono identiche alla mattina, ma a noi magicamente sembra “più asciutta”.
Asciutta non è, soprattutto la placca del secondo tiro. Fosse per me avrei già buttato le doppie, ma il Marco si ricorda di essere un rocciatore di gran classe, anziché maratoneta e si ingaggia con coraggio. Passa azzerando, ma passa.
Dopo il terzo tiro ancora bagnato e delicato, la via poi è finalmente asciutta ed iniziamo a goderci l’arrampicata esposta ed aerea, su roccia da interpretare. Una via in stile Cassin, appunto. Provo una certa emozione a toccare e fotografare dei chiodi che per forma, dimensioni e assenza di marchi hanno tutta l’aria di essere quelli piantati dal Riccardone nel 1931, all’apertura della via. O cmq a me piace pensare che sia così.
Il fascino delle classiche è anche questo…capire lo stile e le intuizioni dei primi salitori e ripercorrerne la storia.
Usciamo sul torrione verso le cinque, un po’ nelle nebbie, ma il tempo regge. Una giornata a zonzo sulle crode (21/08/2014). Siamo soddisfatti.
Come al solito avevo documentato ampiamente la salita alla via Cassin.
Però giunti in vetta, la mia macchina fotografica ha deciso con un balzo di riprendersi la libertà e si è lanciata nel vuoto, finendo in un canalone difficilmente raggiungibile.
Quello che è rimasto, sono due foto nel cellulare e la soddisfazione di aver condiviso una giornata di arrampicata con un amico.
Nando

Regina d’Agosto.

6.21 suona la sveglia.  21, che fa meno male di 20.
Ci vuole un momento per riconnettermi col mondo.. uff perchè suona?
..ah si montagna, camminare.
Maledettte birre e ore piccole.
L’ultima chance per girarsi nel letto è il proverbiale meteo di m.. di quest’anno.
Guardo fuori, non sembra male…..
Mi ributto in branda, dai per camminare è presto. Dormo altri 20 minuti. Poi quasi in automatico, mi tiro su, raccatto lo zaino ed esco. Devo rispettare il mio personale codice cavalleresco. Se dico che vado e c’è bello, vado. Più che altro per non farmi sfottere per il resto della settimana dai soliti noti.
Poi, del resto sto a casa a fare?
Agosto è un mese per certi versi terribile. E’ noioso come la domenica pomeriggio e il primo dell’anno. Solo che dura 31 giorni.  E io non ho soci per arrampicare, spersi ai quattro angoli del mondo. Anche l’ultima risorsa che contatto, è stato imbrigliato dalla morosa, un’ora prima della mia telefonata esplorativa del sabato.
Ad Agosto non c’è in giro nessuno e può diventare un opportunità. Fai cose inusuali ..uscire a cena con amici che non senti da tempo, prendere la bici e girare la città semideserta di notte, andare in montagna da solo. Tipo in Presolana.
Non che sia chissà che cosa, ma appena provi a dire che vai da solo in montagna è una sollevazione popolare di gente che ti sconsiglia. Dalla mamma, all’ultimo degli amici “bar sport”. Quello che l’ultima volta che è stato in montagna l’ha portato suo padre, quando aveva la Fiat Ritmo.
Al Passo inizio a camminare, intenzionato a salire con un ritmo regolare, godendomi un po’ di quiete. Detto fatto due comaschi mi si piazzano alle calcagna e poi mi superano. Spero mi mollino lì, invece rallentano…mi tocca salire insieme. La sensazione è quella di essere in una spiaggia deserta e puntuale vedersi arrivare la famigliola chiassosa, che pianta l’ombrellone a due passi da te.
Per fortuna le rampe tagliagambe dopo i cassinelli mi danno una mano. E ben presto restano indietro. Finalmente quello che cercavo. Stare un po’ per i fatti miei. Mi godo le pareti, e i torrioni della sud, che mostrano abbondanti venute d’acqua. Mi consola, arrampicare oggi sarebbe stata dura.
Breve sosta alla grotta dei pagani per un sorso d’acqua poi riparto subito. Sulle roccette che salgono lungo la normale alla vetta Occidentale non c’è nessuno. Il silenzio e le pareti intorno mettono in soggezione. Richiamano al rispetto. Mi concentro sui movimenti, secondo grado, ma sempre piacevole usare mani e piedi per salire. Comunque non c’è da distrarsi. In breve tempo sono in vetta, dove vengo raggiunto dalle proverbiali nebbie presolaniche. Riesco comunque a godermi il panorama e soprattutto il silenzio. Sono solo. Ci rimarrò per 30 minuti abbondanti.Sempre emozionante la cima di una montagna. Momenti tranquilli pieni di senso, di gioia di completezza.

Leggo un po’ il libro di vetta e trovo scritti bei pensieri e altri volgari. La retorica che chi va in montagna è una persona migliore non regge. Però in montagna ci vanno tante belle persone.
E di questo si, ne sono abbastanza sicuro.Nando

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