“Una via di roccia orizzontale” così è definito il sentiero dei Contrabbandieri, intitolato a Massimiliano Torti, ragazzo di 23 anni, morto nel 2000 sul Dente del Gigante.
Lunga quasi 3 chilomentri, la via sfrutta una stretta cengia realizzata tempo fa per tracciare una possibile strada che avrebbe dovuto collegare Limone del Garda con la Val di Ledro. Per quanto chiodata, con tratti in artificiale e cavi metallici, il percorso è molto stretto e un passo falso può essere fatale. Abbiamo quindi proceduto in conserva, assicurandoci agli spit con mezzi barcaioli per dare o recuperare corda.
La prima parte del sentiero passa sotto grandi reti metalliche che proteggono la Gardesana Occidentale che scorre proprio lì in basso.
Poco dopo l’attacco incontriamo il primo passaggio impegnativo che implica una bella spaccata per poter recuperare la cengia, interrotta su uno strapiombo, con le acque lacustri poche decine di metri sotto a infrangersi sulle rocce. Fortuna un cavo metallico permette di assicurarsi…e concede di godersi il brivido adrenalinico una volta superato il passaggio.
Continuiamo soddisfatti, camminando in conserva, facendo attenzione ad ogni passo, finché non arriviamo ad una scaletta metallica semi mobile: anche qui ci assicuriamo cercando di proteggerci e superare la verticalità che rompe la cengia.
Si susseguono i traversi esposti e le soste per redistribuire il materiale, che ci consentono di allungare lo sguardo sull’azzurrità del lago, solcato da tavole e barche con le vele gonfie. E c’è pure il venticello ad accarezzarci, rinfrescando le ore più calde (e pure risvegliando la cervicale).
Continuiamo attraversando tratti ricoperti da alberi e parzialmente frondosi che restituiscono un po’ d’ombra e di protezione. Finché si staglia dinnanzi a noi la parete. Strizziamo gli occhi alla ricerca del sentiero/cengia/tracciolino…, ma… nulla!
La parete c’è, dritta, a picco sul lago, ma quella minima orizzontalità per poggiare i piedi…no! Al suo posto un cavo metallico che supera lo spigolo che la roccia compie lasciandoci ignari di ciò che verrà, sviluppi o avviluppi che siano.
E’ il punto della paura e pure del coraggio, tornare indietro non si può e si deve continuare. Kevlar e moschettoni, ma pure un rinvio per agganciarsi al cavo metallico, ancoraggio solido e tenace.
Si comincia. Si avanza, un poco alla volta, facendo passare la corda nel rinvio generosamente lasciato dagli apri pista. Fino allo spigolo senza sentiero, che però si rivela meno gramo del previsto: appoggi per i piedi ve ne sono e lavorando pur sempre di braccia si riesce a scaricare una parte del peso sulle gambe. Così procedendo si supera l’angolatura della parete e si ritrovano i sorrisi amici a poco più di un metro, ben piantati sulla cengia.
Inizia il recupero del compagno che aveva ceduto corda, ma non concesso cedimenti mentali, supportando la progressione con parole di fiducia…per concludere con il motto “In steel I trust!”
Questo è l’ultimo passaggio davvero impegnativo…si procede ancora per una ventina di minuti fino a raggiungere il termine del sentiero. Da qui o si sale o si scende a seconda del punto di parcheggio…consiglio vivo…lasciar la macchina sul lungo lago, così che al termine della via non dobbiate sfidare la forza di gravità…l’implacabile ascesa sotto il sole cocente del mezzodì ci ha provato più che la via stessa!
Con Daniela Belotti, Matteo Marconi (capigita e veri punti di ancoraggio nei passaggi difficili) e Federico Ginesi (In steel I trust).
Sara Pagliaroli
PS Grazie al GAP per la corda in prestito!
Bel racconto Sara!
Grazie, ne aspettiamo altri!
Ciao,
Nando