Forse noi non finiremo sottacqua o sepolti dalla neve, certo che il meteo di questi ultimi mesi (!!!) rischia di far affogare nella disperazione anche il più ottimista di chi tra noi (e penso tutti ormai…) vorrebbe andare all’aperto a godersi una semplice giornata di sole, neve, sentieri, piste di sci, roccia o qualsiasi cosa che non sia il grigio e l’umido opprimente di questi tempi…
Allora, stuzzicato dai post del buon Nando a cui rubo l’idea, anche io mi aggrappo ai felici ricordi di un’estate passata, per condividerli con voi…
Eh sì, perchè in quell’estate 2012, quattro giorni di semplice arrampicata, liberi per le Dolomiti con l’amico di corda, senza un programma asfissiante, ci hanno fatto provare emozioni e soddisfazioni che restano e a cui in questi giorni ci si aggrappa nell’attesa della prossima stagione su roccia…
Fatta l’introduzione, via con il breve racconto…
L’appuntamento è Ziano di Fiemme, dove io arrivo dalla Valgardena e trovo Nando un poco dolorante e preoccupato per un dente che non fa giudizio: poco importa, un Aulin e via, verso le Pale e la val Canali, dove velocemente saliamo al rifugio Treviso.
L’idea è lo spigolo Castiglioni alla Pala del Rifugio, ma quando all’alba scendo per la colazione lo sguardo di Tullio, il mitico rifugista, mi conferma i rumori notturni: piove e in val Canali non bisogna stupirsi.
Comincia così l’attesa di una schiarita, o almeno di una pausa nella pioggia, che arriva in tarda mattinata (nel frattempo è comparso anche Nando, di umore simile al meteo) e troviamo la meta alternativa: Punta della Disperazione, via Timillero (nome della parete significativo dell’umore anche dei primi salitori).
Attacco bello verticale, versante nord con vento teso, dita congelate e primi movimenti un po’ impacciati, ma poi via, alternati verso l’alto, ritrovando ritmo e buonumore. Discesa veloce al rifugio dove ci aspetta birra e speck, contenti di aver fatto almeno qualche tiro e sempre più ingolositi per quello che ci aspetta il giorno dopo.
Il giorno successivo il tempo è buono ma lo spigolo è ancora bagnato ed il grande Tullio ci indirizza verso la Cima del Coro, sul Pilastro Franceschini: montagna che sembra volere chiudere la val Canali con questa via logica e di soddisfazione.
Il mio istinto da asino mi fa salire oltre l’attacco (una mezzora di salita inutile), ma Nando non si scoraggia e sulla via va forte: il passaggio chiave è subito al terzo tiro e lo passa brillantemente, poi su con difficoltà godibili e passi belli esposti.
Dal cima del pilastro ci si cala e si raggiunge l’enorme foro che ci permette di passare dalla parte opposta della montagna, cinquanta metri sotto la vetta: incredibile!!!!
La discesa è in un canale-camino umido e scivoloso, ma con attenzione siamo sul sentiero, dove possiamo sventolare il nostro vessillo e poi al rifugio, dove salutiamo il mitico Tullio (che ci trasporta gli zaini a valle con la teleferica…) e ci facciamo indicare la strada per continuare il nostro viaggio dolomitico: prossima meta passo Falzarego.
Perchè se io avevo in testa la val Canali (dove ci torneremo, è una promessa, ce n’è da fare ancora…) Nando aveva annusato la Dibona alla Torre Grande di Falzarego, quindi notte in una stanza di quello che, dal fumo che impregna il locale, doveva essere il Bar Sport di Alleghe e la mattina caffè da Strobel al passo, in attesa che … smetta di piovere!!! Ma ormai abbiamo capito come gira, quindi niente fretta che poi asciuga. Difatti di li a poco siamo accodati ad una coppia di americani che verranno guidati, con qualche variante, sulla nostra stessa via, da Giacomo (“..che flash!!!”), una guida cortinese abbastanza sopra le righe.
Attacco sempre atletico, tiro dopo tiro si raddrizza, i ruderi dell’ospedale militare si allontanano, i fittoni iniziali, magari fuori posto, spariscono e la salita “ingaggia”: strapiombetti, placche grigie e verticali da leggere, dove si applica tecnica e calma,
E per completare la salita una bella fessura gialla un poco strapiombante che porta alla cima del pilastro e all’ultimo muretto, fino alla vetta
Ma il nostro girovagare non si può concludere che nel cuore delle Dolomiti, nel gruppo Sella-Pordoi. La scelta cade sullo spigolo Gross al Sass Pordoi, appena a destra della via Maria che avevamo già salito, anche con variante iniziale (!!!), un paio di volte.
Ma anche noi saliamo passo dopo passo, fino ad un bel balcone sotto la torre finale, dove prendiamo fiato e facciamo riposare piedi e polpastrelli doloranti dopo quattro giorni consecutivi di arrampicata…
Conosciamo l’uscita, con volteggio un poco sbruffone e sosta sulla ringhiera della stazione di arrivo della funivia, osservati come animali da circo dai turisti ( “… avvedi gli arrrrampicatoriiiiii……”), quindi via di corsa sul sentiero che scende al passo.
Allora rimettiamo gli zaini in macchina e concludiamo la nostra “zingarata dolomitica”, con qualcosa di nuovo che ci portiamo dentro ancora oggi ed il pensiero per le prossime avventure, magari condivise con le “nuove leve”.
ps naturalmente Nando, come compagno di gita ed amministratore del blog, puoi rivedere, integrare e correggere il post…
Ecco un doveroso omaggio al compagno di cordata di questa avventura!
Foto ricordo (con mal di denti) attraversando il buco,
in azione sulla Gross, in azione su placca tecnica della Dibona
Bellissimo post Marco! Che voglia di prendere partire e ripetere un'avventura del genere!
Fantastico!
Integro con un paio di foto, appena le recupero da casa
ciao!
Grazie Nando del tuo contributo: così ingolosiamo i "giovani" che già si vedono sulle crode dolomitiche…