CAMBIA LINGUA

Zingarate dolomitiche…

Forse noi non finiremo sottacqua o sepolti dalla neve, certo che il meteo di questi ultimi mesi (!!!) rischia di far affogare nella disperazione anche il più ottimista di chi tra noi (e penso tutti ormai…) vorrebbe andare all’aperto a godersi una semplice giornata di sole, neve, sentieri, piste di sci, roccia o qualsiasi cosa che non sia il grigio e l’umido opprimente di questi tempi…
Allora, stuzzicato dai post del buon Nando a cui rubo l’idea, anche io mi aggrappo ai felici ricordi  di un’estate passata, per condividerli con voi…
Eh sì, perchè in quell’estate 2012, quattro giorni di semplice arrampicata, liberi per le Dolomiti con l’amico di corda, senza un programma asfissiante, ci hanno fatto provare emozioni e soddisfazioni che restano e a cui in questi giorni ci si aggrappa nell’attesa della prossima stagione su roccia…
Fatta l’introduzione, via con il breve racconto…

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Vallée d’Ailefroide, Sueurs de boucs (5c+)

Questa valle è poco oltre la famosa località di Briançon e fa parte del massiccio degli Ecrins, i “4000” più esterni delle Alpi. Decidiamo di andarci in esplorazione quest’estate, dal momento che durante i nostri pochi giorni di vacanza, le dolomiti sono attraversate da una intensa perturbazione. O meglio piove in tutte le alpi. Le leggende tramandate da generazioni di arrampicatori narrano che questa zona sia sempre asciutta. Proviamo.
In effetti il territorio è molto strano, si alternano boschi alpini a piante mediterranee, come la lavanda. L’erba è bruciata dal sole e complessivamente l’aspetto è brullo. Sembra una sintesi tra montagne e mare, ghiacciai e macchia mediterranea. Anche la geologia ci mette del suo, piegando e accavallando le rocce, sovrapponendo al granito i calcari, dando un aspetto disordinato al territorio.
Complessivamente ci piace, anche se siamo un po’ spaesati. Giriamo mezza Briançon per trovare una guida d’arrampicata per le vie di più tiri. Alla fine troviamo un bel negozio di montagna nel quale recuperare quello che ci serve. Il passo successivo sarà orientarci con il francese delle relazioni. Briançon è una bella città, di chiare origini militari per il controllo delle valli e forse del confine, rustica, tutta in salita e ingentilita o forse abbruttita solo dalla modernità dei negozi turistici e ristorantini. Negli anni 90 è stata la sede delle prime gare mondiali di arrampicata sportiva.La Valle d’Ailefroide è un mix tra l’ambiente granitico e bucolico della Val di Mello, e la chiodatura a spit, lunga ma non impossibile di Arco. Sicuramente in zona ci sono vie prettamente alpinistiche, ma le strutture vicine al bellissimo campeggio, dove si respira un aria molto “cool” da campo base, sono decisamente sportive. C’è ne per tutti i gusti, dal boulder alla falesia alle vie “multipitch”. Noi scegliamo un bel via di 9 tiri Sueurs de boucs con difficoltà fino al 5c+. Muoversi sul granito all’inizio è piuttosto faticoso, poi riusciamo ad ingranare e ci divertiamo. A fine via tentiamo scambiare due parole con una guida e di chiedere qualche semplice informazione per la discesa …ci fa pesare che è francese e che è una guida e ci tratta con una certa sufficienza.
Tutto secondo copione, ci ridiamo su.
Il giorno seguente tentiamo Snoopy, ma non è giornata, oltre al fatto che la via non è banale. Dopo il terzo tiro ci caliamo. Ci brucia un pò, ma recuperiamo con un pomeriggio di monotiri.
Sarà per la prossima volta. Il posto merita una nuova visita.
Ah, alla fine in effetti non ha mai piovuto.

Nando

 

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Torre Fiechl, Via Tanesini (IV)

Tra una sciata e l’altra, da tempo ci rinchiudiamo nei box, in palestre e sale boulder a “tirare” gli avambracci sulle prese di plastica iniziando a fantasticare sulla prossima stagione di arrampicata.
Nel gruppo c’è un bel fermento di giovani motivati e non si fa altro che parlare di vie, di gradi, di stile e naturalmente di dolomiti, regine incontrastate dell’arrampicata “Classica”.
Di conseguenza mi è venuto voglia di raccontare questa salita, da un po’ di tempo parcheggiata nell’angolo del mio cervello adibito a “cose da fare”.
La torre Fiechl è una dei miei tre piccoli gioielli dolomitici della passata stagione, che è stata troppo piena di pioggia ed acqua per essere pienamente soddisfacente.
L’abbiamo affrontata io e Alfio in una bella giornata di sole, davanti a noi due sole cordate. Una veloce ed efficace, l’altra lenta e impacciata.
La via parte con una bella rampa, di roccia sana ma un po’ sporca. Dopo tre tiri, si entra nelle difficoltà vere, la roccia si raddrizza e diventa meno proteggibile. E’ in questo tratto che raggiungiamo la cordata lenta. Sono probabilmente austriaci e giocano al tiro al piattello facendoci cascare in testa un discreto numero di sassi. Protestiamo civilmente, in tedesco per sembrare più incazzati.
Una volta raggiunti scopriamo che stanno scalando con gli scarponi, con un unica corda e sono in tre! Uno stile decisamente vintage e piuttosto azzardato. Non sembrano nemmeno troppo esperti. La via è un IV pieno con passaggi di tutto rispetto.
Dei matti!
Purtroppo non riusciamo a superarli, o meglio preferiamo tenerli a debita distanza per non incontrare problemi.
Fortunatamente evitano l’ultimo tiro che porta in Vetta e iniziano a scendere.
Anche la cordata veloce, guida e cliente, è già nelle fase delle “doppie”.
Meglio così, raggiungiamo la cima, da soli e dato che è 2 mq scarsi stiamo comodi.
Firmiamo il libro di vetta e con nostro stupore scopriamo che la guida col cliente era il mitico, Bernardi, autore di 3 guide di arrampicata, i nostri personali oracoli che consultiamo con devozione!
Ci godiamo il vertiginoso panorama e poi scendiamo entusiasti della fugace apparizione, convinti di raggiungerlo, magari per salutarlo.
Lui scompare in pochi minuti, noi scopriamo che la discesa è molto meno intuitiva di quello che sembra. Ho anche la fortunata intuizione di stoppare un sasso con lo stinco procurandomi un taglio di tutto rispetto, per aggiungere “pathos” alla giornata.
Una altra bella avventura in compagnia dell’amico Alfio.
Presto torneremo in dolomiti, desiderosi di misurarci su queste pareti.Vecchi lupi di mare e giovani amici.

Nel frattempo, giriamo sulla plastica con in testa il motto dei local orobici.
“Allenarsi”.

Zucco di Pesciola, Via Bramani (IV+,V)

L’ultimo sabato di agosto lo spendiamo sullo Zucco di Pesciola. Praticamente con questa via chiudiamo la stagione in montagna, anche se lì per lì, ancora non lo sappiamo e nutriamo speranze per qualche soddisfazione dolomitica. Sono state poche quest’anno. 
Vogliamo essere comodi e non sbatterci troppo, saliamo da Barzio con la funivia. Del resto sono ancora in ferie. Il nostro obiettivo di giornata è la via Bramani, una classicissima ottimamente chiodata, che consente anche al mio socio di cimentarsi da primo senza troppi patemi. C’è un po’ di ressa in funivia, la comodità si paga, economicamente e in termini di affollamento. Noto anche “un big” orobico, ma lo tengo per me.
Ho dei dubbi sulla fruibilità della salita. “Saranno tutti incrodati lì!” penso.  
Invece con grande sorpresa all’attacco non c’è nessuno.
Questa via se fosse più lunga e meno chiodata non avrebbe nulla da invidiare ad altre più blasonate. Elegante, logica, diretta. Del resto Vittorio Bramani, per inciso quello che ha inventato le suole VIBRAM, era un alpinista coi fiocchi. Il tiro più bello è l’evidentissimo diedro della quarta lunghezza, che si affronta prima con tecnica di camino e poi di diedro, appunto. Spetta a me affrontarlo e faccio un po’ di fatica, specie gli ultimi metri in uscita.
Come spesso mi accade sulle classiche provo a immaginarmi i primi salitori, lo stile, i materiali usati. Mi immagino la corda di canapa, i vestiti pesanti, i pantaloni alla zuava.
Ora la via è addomesticata da una chiodatura semi-ascellare a fittoni, ma pensare il Bramani che passava su da lì con tecniche dell’epoca..si insomma fa un bell’effetto.
Elia sale in bello stile, anche se non vuole ammetterlo. Poi mi supera e prosegue…sul tiro di uscita affronto io un passo di quinto, ma sono pigro e perfettamente in linea con l’andamento della stagione, staffo e lo supero. Senza tante menate.
Chissà se Bramani avrebbe approvato.
Nando.  
p.s. il “big” lo ritroviamo al rifugio Lecco, al nostro tavolo. Avremmo una gran voglia di chiedegli dove è stato, ma in puro stile orobico “an ga da mia la sodisfaziù” e non gli rompiamo le scatole. Lo scopriamo giorni dopo però. Se volete sapere chi è e dove è andato, cliccate qui:
Zuccone dei Campelli, via Comici
La via
Elia da un’occhiata ai gradi e mi frega il primo tiro. 

All’aria sul terzo…

In elegante spaccata nel diedro..

Dentro nel ragionamento, su come risolvere il tiro. 

In vetta, soddisfatti

Rogno, Via le mà dal Kul (5c)

Questa via è sempre stata divertente ma non banale, con un bel traverso estetico e suggestivo. Non troppo duro. Decido di affrontarla con Elia, in un bel sabato di settembre. Ma non tutte le ciambelle escono col buco e incappiamo nella classica giornata no. Subito in partenza sono titubante e dubito…piazzo addirittura un friend. Poi tiro azzero, vado, mi blocco indeciso come non mai. Oh, non si va su. O meglio si va su a gran fatica spinto più dall’orgoglio di averla già fatta diverse volte.

Elia mi da una mano e tira anche lui da primo…ma anche da secondo sono proprio inchiodato.

Va beh alla fine la chiudiamo. Ma lo stile…eh lo stile.

Lo stile la prossima volta.

Nando

Rogno

Spigolino e traverso suggestivo

Elia si “staglia” nel blu

Sconclusionati, a fine via.

Arco di Trento-Placche Zebrate, Via Claudia (5c, 5b obb.)

Finalmente trovo il tempo per fermarmi. Questa giornata uggiosa non mi lascia altra alternativa che scrivere sul blog. Del resto, la spesa è già fatta e la cena pronta. Ho tempo di metter giù due righe, le prime che raccontano un po’ della stagione estiva appena conclusa. Stagione che devo ancora focalizzare, che ancora non ho capito bene. Cioè, se è andata bene o male, intendo. Si vedrà…
Due settimane fa sono ritornato dopo 5 anni alle Placche Zebrate con Elia. Le Placche Zebrate, era il mio personale “Eldorado”, vie lunghe, chiodatura buona, ambiente controllato. Le ho ritrovate un po’ logorate, usurate per meglio dire. Del resto la via Claudia è una super classicissima del posto, molto ripetuta. 
Le difficoltà contenute, perlomeno dei tiri non chiave, la rendono perfetta per irrobustire la testa di chi si approccia da poco ad andare da primo, a guidare la cordata. Un ottima occasione per testare “la crapa” del mio giovane socio. 
Parto io sulla placca untissima del primo tiro. Ho portato le scarpette risuolate di fresco mai messe e provate. Bella cazzata. La gomma è troppo perfetta, pulita, lucida. Non ha il consueto grip, avrei dovuto dare una passata con la carta vetrata. Va beh pazienza. Il tiro si complica non poco, ma passo. Sembrava di scalare con le scarpe di cuoio della festa, quelle della laurea. Il tiro dopo parte Elia, un po’ preoccupato, ma deciso. Sbobiniamo i tiri di corda con buon ritmo. Andiamo bene.
Salendo noto un effetto curioso, la mente sembra più proiettata a ricordare i passaggi, i tiri, le difficoltà, invece di leggere poco a poco la via, la roccia. Mi trovo un po’ disorientato, sperso su queste placche che si susseguono, abituato come sono a cercare diedri, camini e fessure. Forse il mio stile di arrampicata è cambiato, forse mi sono trasformato definitamente in un rocciatore classico. O forse sono solo poco allenato.
Interessante vedere, come la stessa via puoi viverla in modo diverso, a distanza di anni.  
Realizzo che in fondo arrampicare è un po’ dialogare con noi stessi. 
Stessa via, percezioni diverse, in funzione di come siamo. 
Di come stiamo. 
Nando
Elia “da primo”

Sul traverso di 4c
In cima

Spigolo Del Vecchio-Campanile Pradidali (III-IV, IV+)

Tra i soliti mille impegni, necessità lavorative ed incastri, riusciamo finalmente ad organizzare un week-end dolomitico. L’idea è quella di fare una bella via su roccia buona, gradi abbordabili e impegno complessivo non troppo ingaggioso. Alfio con la sua proverbiale conoscenza dei monti pallidi tira fuori dal cilindro lo spigolo del Vecchio al Campanile Pradidali, sopra il rifugio omonimo, nel gruppo delle Pale di S. Martino (tra l’altro complimenti alle gentilissime e carinissime cameriere, due presenze angeliche in mezzo a tanti alpinisti barbuti). 
Sabato attacchiamo il sentiero alle 17.00, subito dopo un bell’acquazzone, che fortunatamente schiviamo. Ci rendiamo conto che dato l’avvicinamento (sono stimate due ore di buon passo) siamo partiti un po’ tardi…siamo anche belli carichi perchè ci siamo portati i materassini per dormire, dato che non abbiamo un posto letto. Il rifugio è pieno zeppo. Saliamo dunque sparati, e complice l’umidità altissima e gli zaini enormi ben presto siamo bagnati fradici. Letteralmente come usciti dalla doccia.
Impressionante la compattezza e la grandezza della parete est del Sass Maor, che non avevo mai visto.
Giungo al rifugio in un ora e 45 minuti e mi sorprendo..la gita in alta quota al Palon de la Mare ha avuto un benefico effetto.

Imbocchiamo la valle, ci attende una bella scarpinata

Il rifugio appollaiato su un costone sbuca dopo un po’

Dopocena facciamo conoscenza con due ragazzi bresciani, Davide e Diego, simpaticissimi. Anche loro hanno fatto il Gran Pilastro l’anno scorso e ci scambiamo impressioni e racconti. Il giorno seguente attaccheranno la blasonata e prestigiosa Fessura Buhl alla Cima Canali. I ragazzi sono due tipi tosti! Ridiamo e scherziamo, e la serata prenderebbe la giusta piega “bar sport”, ma purtroppo la sveglia presto ci riporta con i piedi per terra e dopo esserci scambiati i contatti ci salutiamo. Alla fine noi abbiamo avuto la fortuna di trovare due posti letto, mentre loro si accomoderanno sui tavoli (e probabilmente dormiranno meglio di noi).

La loro salita la trovate qui, il blog del gap è stato addirittura citato! (e io ricambio il favore)
http://www.cornodicavento.com/FORUM2/index.php?t=msg&th=2131&start=0&rid=0&S=2128fe9be8c3ae6daf04192861ef405a

L’indomani sveglia presto cielo meravigliosamente senza nuvole. Solo un vento freddo e teso che ci abbandonerà solo sugli ultimi tiri.

Il Sass Maor baciato dalle prime luci del mattino





La via sale l’evidente spigolo sulla destra

La linea seguita (più o meno)

Sui primi tiri mi sento un po’ impacciato, è tre settimane che non scalo. Poi piano piano ritrovo il giusto feeling. Troviamo sulla via altre due cordate, decisamente inesperte, che ci rallentano di un ora buona dovendo attendere il loro passaggio sul tiro chiave. Su gli ultimi tiri, dove il percorso è meno obbligato li superiamo e ci portiamo rapidamente in vetta.
La via complessivamente è divertente e interessante. noi abbiamo fatto la versione integrale partendo dalla nicchia dove c’è una lapide, altri saltano il primo tiro attaccando più in alto e a destra in corrispondenza di un catino. Il quinto tiro (chiave) è veramente bello, dritto, continuo, ben appigliato su roccia ottima. Di piena soddisfazione. La discesa non è da sottovalutare sopratutto se inesperti, ci sono tre doppie nel vuoto su parete strapiombante. Nel complesso si è rivelata meno banale e semplice del previsto, ma sicuramente consigliabile.

La pala di San Martino, con il bivacco in cima e in primo piano, la cima Imnik

Sesto tiro, Alfio in posa “retorica” sullo  spigolo, delsesto tiro, dopo il tiro chiave. 




































Le corde sullo spigolo. 

Ultima sosta

Vetta e autoscatto di rito!

Alfio in doppia, Cima di Ball, spettacolare doppia aerea. 

Merenda finale!

E ogni volta, mentre si imbocca il sentiero verso casa si pensa già alla prossima avventura, tra visioni mistiche e cieli biblici.

Nando

Via Micoli-Soravito, Anticima Sud di Meluzzo

La neve ancora abbondante in quota ci “costringe” ad una trasferta nelle dolomiti Friulane. Più basse ed esterne, quindi potenzialmente con vie sgombre di neve e asciutte. 
Le zone di Mauro Corona, per intenderci. 
Poco male, accetto di buon grado la proposta del mitico Alfio, che mi consentirà di vedere posti nuovi, che non sono abituato a frequentare. 
La valle è quella del ben più famoso Campanile di Valmontanaia, che decidiamo cmq di evitare (con un po’ di rammarico) a causa delle due ore di avvicinamento e l’ora tarda di arrivo nella valle. 
Fanno parte della combriccola anche Donato, con il quale ho già fatto alcune belle vie, e Sabrina, una ragazza che non conosco, ma con un curriculum alpinistico di tutto rispetto. 
La via Micoli-Soravito sale la faccia destro del gran diedro che si nota sulla sx orografica della valle. Complessivamente è una via da non sottovalutare, non tanto nel tiro duro (VI, V+), ben chiodato, ma sui tiri più semplici, caratterizzati da roccia “slavata” piena zeppa di svasi e piccole tacche, che costringono ad una arrampicata di equilibrio e molto “aleatoria”. La chiodatura è pressochè assente (3-4 chiodi in tutta la via), anche se le soste sono spittate. Se si seguono camini e fessure si integra comunque abbastanza facilmente con friend e stopper…mentre di clessidre nemmeno l’ombra. Nel complesso una arrampicata molto psicologica, che necessita di una concentrazione elevata. 
Anche questa volta Alfio ha trovato itinerario non banale su cui ingaggiarsi e mettersi alla prova!
Saliamo un po’ lenti, ma la giornata è bellissima e non presenta problemi. L’ottima compagnia e preparazione dei compagni rende piacevole l’itinerario e gli ultimi due tiri esposti e verticali aggiungono valore alla scalata e mi “esauriscono” fisicamente. Sono contento di lanciare le doppie e scendere, non è stata certamente una salita in puro relax. 
Durante la pausa merenda prima di rientrare abbiamo avuto modo di apprezzare l’ospitalità friulana, gente asciutta e pratica, ma decisamente simpatica. 
E poi dopo un week end intenso si rientra alla normalità. Città, treno, Milano, lavoro.
E già la voglia di ripartire verso i monti pallidi.  
La valle e la via
Donato sul quarto tiro. Alfio nel Tiro chiave, Sabrina sul tiro finale. Io in posa plastica. 

Doppie e dopo un paio d’ore, landed.

Compagni di cordata, compagni di giornata

Si rincasa la sera pensando alla prossima..

Via Baldo Groaz, Pian della Paia, Arco.

La Baldo-Groaz sarà pure la prima via scalata al Pian della Paia, ed ha certamente un valore storico.

Però a tutto c’è un limite.
1L. Tiro sui biscotti sbriciolosi.
“va beh dai è lo zoccolo, sopra andrà meglio”
2L. Tiro su sentiero erboso fangoso, che si infila in un camino marcio
“va beh dai, è un tiro di collegamento, poi migliora”
3L. Tiro in camino terroso con massi instabili
“mmm ma cos’è sta roba”
4L. Lunghezza in traverso, prima sentiero erboso e poi roccia friabile come wafer
“ok, è ufficiale, sta via fa schifo”
5L. Camino fessura si scala su massi incastrati, si abbracciano blocchi dai 20 ai 100 kg, supposti stabili. 
“Alfio, non tirarli troppo che servono anche agli altri”
6L. Fessurina da proteggere, poi si esce
“eh dai questo è su roccia sana, quasi bello rispetto agli altri”
7L, 8L su placche proteggendosi sugli alberi. 
“va beh meno male siamo fuori da sta roba”
Per farla breve un inutile ravanage, adatto agli amanti dell’orrido. 
Se avete idea di farla….ve la sconsiglio vivamente. 
Ma i gusti sono gusti, vedete voi.

La parete

Avanziamo nella giungla

Canale fangoso

Ravanages

Foto di rito..perplessi.

Una classica che non può mancare

L’antimedale lo si affronta a marzo, aprile al massimo..freschi di palestra e con ancora qualche sciata da fare, prima di passare definitivamente alle scarpette.

Noi l’abbiamo fatta a giugno, a testimonanza della primavera balorda. Cmq ci siamo divertiti.

Qualche immagine e video

Elia

Marco (stèck e backèt)

Il diedrone

Foto in uscita

video